Il nucleo centrale di Gaiba deve la propria origine all’arrivo dei Marchesi Fiaschi, che costruirono una possente villa sulle fondamenta della grande casa rurale dei predecessori marchesi Seracco. Questi ultimi ebbero territori in Gaiba per pochissimo tempo, ma sufficiente per lasciare il loro nome ad identificare “saracca” le terra che fu di loro proprietà, situata tra Via Giovecca e Via Vegri. Sullo scolo Canalazzo, tra Vegri e Tommaselle nel 1500 fu edificata la Villa rustica dei Seracco.
I Fiaschi al loro arrivo demolirono la villa e ne costruirono una nuova secondo canoni di architettura più “signorili”. Nel 1669, secondo una descrizione dell’epoca, la villa Fiaschi possiede già la fisionomia attuale, anche se mostra una decorazione frontale al centro della coperrtura che oggi non c’è più.Nel 1790 viene costruita la Cappella, in stile barocco dedicata a Sant’Anna, attuale patrona di Gaiba, l’Oratorio conserva una preziosa pala d’altare rappresentante la Santa bambina con la famiglia ed è opera di G. Cignaroli, pittore veronese morto nel 1770. Purtroppo da più di dieci anni la chiesetta, un gioiellino dell’arte barocca, è pericolante e necessita di ingenti quanto urgenti restauri. Le statue, che ornano ancora i pilastri della cinta, sono anteriori al 1790 e anch’essi abbisognano di restauro.
I Fiaschi si aprirono una strada verso il fiume costruendo la via che porta ancora il loro nome, per scopi agricoli continuarono a servirsi anche dell’antichissima strada che conduce al Monastero delle Caselle. Via San Lorenzo e via Fiaschi (oggi il primo tratto di quest’ultima si chiama via Roma) cominciavano in un’unica strada che partiva in corrispondenza del cancello centrale della mura attorno alla villa poi superava il ponticello sullo scolo Canalazzo e subito si divideva a V: un braccio si dirigeva perpendicolarmente alla Villa verso il Po, l’altro portava alle Caselle. Sopra queste due strade si espanderà Gaiba moderna: la piazza centrale con la chiesa di San Giuseppe si aprirà mettendo in comunicazione le due vie, dallo slargo della piazza in direzione ovest nascerà via Sabbioni da dove via Fiaschi verso via Vegri si diramerà via Giovecca.
CHIESA ARCIPRETALE DI SAN GIUSEPPE
I Marchesi Fiaschi fecero erigere due Oratori in Gaiba: uno all’interno delle mura della propria villa nel 1700, un altro più antico su via San Lorenzo, a distanza di circa 300 m. dalle mura. Questo costruito nel 1500, evidentemente per la cura delle anime dei contadini al loro servizio, fu eretto orientato verso ovest, sulla via che portava al Monastero di San Lorenzo. Il piazzale di fronte all’Oratorio era delimitato dalla via che conduceva al Po. La storia dell’Oratorio che diventerà poi la chiesa Arcipretale, può essere ricostruita, curiosamente, attraverso la lettura dei resoconti di viaggio dei vari prelati in visita religiosa.
L’Oratorio fu visitato dal Vicario Maremonti il 6 luglio 1574 e nella sua relazionesi legge di una chiesa povera e malridotta che necessita di candelieri nuovi, priva addirittura di regolare altare, dotata di una piccola campana a corda esterna(quindi non c’era campanile), senza vetrate e dal pavimento sconnesso. E’ gestita dal cappellano francescano Domenico Cardinale dipendente dell’Arcipretale di Ficarolo. Il 9 settembre 1651 l’Oratorio dei Fiaschi è visitato dal Monsignore G. Fontana, il quale ne ricava una descrizione leggermente migliore rispetto alla precedente: intitolato all’Ephiphaniae ha pareti dipinte, un porticato in facciata, ma la campana è ancora esterna e gli arredi sacri sono ancora ridotti a poco più dell’essenziale. Il cappellano don Andrea vive di una rendita di 20 scudi annui ricavata dall’affitto di territori donati da Galeazzo Fiaschi. Don Andrea celebra regolarmente nei giorni festivi. E’ solo nel 1699, con la visita di Monsignore Paolucci, che l’Oratorio si mostra del tutto rinnovato: dedicato a San Giuseppe Sposo di Maria, possiede una sagrestia e tre altari. Nel 1713, appena 14 anni dopo l’ultima ispezione, Monsignore Togni visita un grande e nuovo Oratorio, “recenter erectum a fundamentis”, ovverosia recentemente eretto dalle fondamenta( quindi il precedente fu completamente demolito). Questo ha: una sagrestia, un coro, un battistero e tre altari non ancora completati. Monsignore Ruffo nel 1727 visita ancora la Chiesa di San Giuseppe e aggiunge alla descrizione precedente che gli altari sono stati rifiniti e che vi si trova anche una nuova cappella (alla quale si accede dall’abside) e il cimitero al lato nord. Il decreto ufficiale che crea la nuova parrocchia è firmato il 10 novembre 1734 dal Cardinale T. Ruffo, il quale con la bolla del 20 successivo delinea i confini gaibesi con territori sottratti a Ravalle, Stienta e Ficarolo: è nata Gaiba. Il compleanno del nostro comune deve essere fatto risalire proprio alla data del 20 novembre 1734. All’interno della Chiesa si conservano tutt’oggi in ottimo stato, un coro ligneo e un confessionale con pulpito (opere di Dalbuoni, artigiano locale).
I Marchesi Fiaschi, in oltre duecento anni di dominio su Gaiba, hanno donato, a partire dal 1574 e successive elargizioni quella chiesa che riunirà tutti i borghi storici nati prima del nucleo centrale, e facendo della piazza del paese praticamente l’ultimo nato tra gli insediamenti del comune. Ricapitolando: Gaiba ha costruito il proprio centro per unificare in un’unica identità comunale tutti i villaggi ad esso preesistenti, al contrario di quanto invece è successo nella stragrande maggioranza dei paesi polesani, che si sono sviluppati dal centro alla periferia.
PIAZZA SAN GIUSEPPE
Le case erette attorno alla piazza dell’Oratorio Fiaschi hanno, presumibilmente, un origine nel XVII sec., e si presentavano, allora con una fisionomia del tutto diversa da quella attuale. Erano infatti porticate in facciata e riprendevano architettonicamente la piazza di Ficarolo, che rimane ancor oggi per un intero lato munita di portici con archi a tutto sesto. Nella piazza gaibese rimangono ancora a testimonire l’antica bellezza del centro i quattro volti che costituiscono la superstite facciata di una antica casa, addossata alla Canonica.
Due grassissime finestre in stile veneziano restano unica memoria di una presunta sequenza di stile nei tre lati della piazza. All’interno di alcune case sul lato sud rimangono testimonianza degli antichi archi nella muratura. I volti della piazza di Gaiba sono rimasti integri fino all’inizio del 1900, poi furono inglobati nei muri esterni delle case per far guadagnare altro spazio all’abitazione.
Gaiba continua a crescere sia dal punto di vista demografico sai dall’edilizio, allargandosi in direzione sud-ovest con le vie Giovecca e Sabbioni. Nel frattempo scompariva l’abitato delle Caselle e il Monastero venne abbandonato dagli ultimi frati all’inizio del 1800.
Scavi archeologici in Chiunsano
Chiunsano era già stato oggetto di ricerche agli inizi del secolo, quando nel 1904 vi furono eseguiti alcuni scavi che portarono alla luce resti di costruzioni, frammenti di vasi fittili e vetro, oggetti di bronzo e osso, oltre che numerose monete (da Vespasiano a Galerio Massimiano). Ma si deve giungere al 1968 per avere altre informazioni archeologiche, con la scoperta occasionale in località Bassantina (Ficarolo) di tre tombe a cremazione del tipo “a cassetta”, riferibili al I secolo d.C.. Il loro corredo funebre era rappresentato da vasellame di vetro e terracotta, tra cui un elegante bicchiere fittile invetriato. Il luogo di Chiunsano ritornò nel 1982 ad essere interessato da scavi archeologici, quando per interventi agricoli furono individuate le prime tracce di una necropoli. Le ricerche portarono alla scoperta di trentuno tombe ad inumazione di epoca altomedievale, distribuite nel contesto di un’area insediativa romana. Ora si prospetta la necessità di una programmata ricerca, soprattutto alla luce di quanto Carlo Palazzi è riuscito ad inviduare in anni di continue ricognizioni, senza trascurare il fatto che la maggior concentrazione dei siti archeologici è distribuita lungo una secondaria via d’acqua ancora parzialmente “viva” che in cartografie storiche è ricordata con il nome di Chiunsano, dalla stessa località che fino ad oggi ha restituito, per l’area in esame, i materiali archeologici più significativi. E non deve essere sottovalutato il fatto che questa fascia rivierasca del Po, per quanto legata a complesse vicende idrografiche, offre elementi tali da confermare una particolare continuità insediativa che abbraccia un arco di tempo compreso tra il II secolo a.C. e il VI secolo d.C.
LA DAMA DI CHIUSANO
Assolutamente sensazionale è risultato il ritrovamento di quel 2 settembre 1991, penultimo giorno della terza campagna di scavi condotta da Hermann Bùsing, dell’Università di Bochum, nel territorio rivierasco del Po tra Gaiba e Ficarolo, in provincia di Rovigo. Deposto sulla massicciata romana stava lo scheletro intatto di una donna risalente all’epoca delle invasioni barbariche e databile intorno al 500 d.c., con ricchi gioielli d’argento, anche dorato.
Alla mano sinistra portava un anello con granati almandini, all’avambraccio sinistro un’armilla d’argento e tra i capelli un lungo spillone. Non sono stati trovati nella loro posizione originale gli ornamenti della veste, cioè la bella fibbia da cintura e la fibula: la prima, decorata da nove granati almandini e dorata, stava presso il ginocchio sinistro, la seconda tra i piedi. Questo fa pensare ad una parziale spoliazione della salma poco tempo dopo la sepoltura.
La “dama di Chiunsano” era un’ostrogota, i cui gioielli furono in parte apprestati ancor prima della sua migrazione verso l’Italia. Del popolo di Teodorico il Grande, che arrivò in Italia con centomila uomini nell’anno 489, sono state finora rinvenute meno di cinquanta sepolture femminili (gli uomini venivano invece deposti senza corredo e sono riconoscibili come ostrogoti solo per la vicinanza con tombe femminili, oppure per mezzo di analisi antropologiche). Quindi non è solo l’eccezionale eleganza dei gioielli, ma anche e soprattutto la grande rarità di ritrovamenti simili che conferiscono alla sepoltura un posto di rango nella storia del Polesine. Si tratta infatti della prima tomba barbarica di questa provincia. Nulla, prima dello scavo, faceva presumere un rinvenimento così clamoroso, del tutto inaspettato per gli scavatori stessi, anche se si deve osservare che il sepolcreto di Chiesazza, distante poche centinaia di metri, appartiene alla stessa epoca della “dama di Chiunsano”. Se si trattasse di uomini della medesima stirpe oppure di autoctoni lo potranno dire solo ricerche antropologiche. Nel frattempo è emerso che un impugnatura di coltello, di osso intagliato, con l’iscrizione “VIVAS IN D[EO]” rinvenuta anni fa su un campo di Chiunsano, appartiene al medesimo contesto storico.