Descrizione
Il Bonello
La rotta di Ficarolo, creando il nuovo corso del Po che fu chiamato Po di Venezia, passando attraverso nuove terre geologicamente più giovani, formò nuove isole, la più importante delle quali nella nostra zona è Bonello oggi unita alla terra ferma. Fin dalla sua formazione Bonello fu presa sotto il controllo del villaggio di Ravalle, situato sulla riva opposta del Po, il quale ne sfruttava il terreno particolarmente fertile grazie al limo naturale depositato dal fiume nelle due piene annuali. Il nome di Bonello resta di difficile attribuzione etimologica. Lo studioso ficarolese Ravelli ne fa risalire l’origine alla presenza in loco di rivenditori di pesci detti Bolonae, mentre altre testimonianze ne rimandano l’etimo allo stabilirsi di famiglie di coloni di origine bolognese. Molto più semplicemente, è probabile che Bonello sia un nome derivato dalla radice latina Bon – e da Liticus, “terreno”, che in questo caso stava ad indicare la particolare condizione di fertilità dell’isola rispetto alla insalubrità delle zone circostanti. All’inizio del 1600, Bonello era un’isola popolata e bonificata, dipendente dalla parrocchia di Ravalle, ma in lento avvicinamento alla riva sinistra del Po ( e di conseguenza in allontanamento progressivo dalla riva destra).
Nel 1650 circa, in seguito alle continue richieste da parte degli abitanti per ottenere la cura di un parroco residente sull’isola(perché durante i periodi di piena si trovava anche per mesi privati delle funzioni religiose), il Vescovo di Ferrara Cardinale Magalotti, autorizzò l’edificazione dell’Oratorio dedicato a San Carlo Borromeo. Questa chiesetta fu costruita sopra un piccolo terreno offerto da un possidente locale, Bartolomeo Tosi, era provvista di campanile a tetto scoperto e dotata di una casa per il curato, un cappellano residente. Accanto all’Oratorio fu creato successivamente un piccolo cimitero.
Nel 1800 l’opera dell’uomo accelerò la natura e grazie a grandiosi lavori di bonifica l’isola fu legata definitivamente alla terraferma. Attualmente Bonello divenuta a tutti gli effetti “golena” – intendendo con il termine un terreno compreso entro gli argini del fiume, invaso dalle acque nei periodi di piena – è per la maggior parte della sua estensione sotto la giurisdizione di Gaiba, la restante parte è sotto quella di Stienta. Durante la prima metà del XV sec. Il territorio altopolesano fu, purtroppo, teatro di aspre battaglie tra le famiglie dei Gonzaga, degli Estensi e di Venezia, in continua lotta tra loro. Le guerre sviluppatesi non risparmiarono alla nostra terra le umiliazioni più profonde, sia a livello politico (passando prima sotto i Gonzaga, poi sotto Venezia e nel 1438 ancora sotto gli Estensi) che economico, in quanto per fermare le truppe nemiche gli eserciti in lotta ricorsero persino al taglio degli argini dell’Adige (rotta di Castagnaro del 1438) e alla Malopera.
Alla fine 1400 gli Estensi cercarono di rendere più stabile il loro dominio sulla transpadana, sia dal punto di vista economico che militare, iniziando una campagna di infeudazione di molti territori, attraverso l’investitura terriera nei confronti di famiglie di nobile stirpe dell’entourage estense. Furono investiti i nobili Vegri di vasti territori in Ficarolo ( e il loro casato resta testimoniato dal toponimo di Via Vegri), i Sarti alle Tommaselle, e i Surchi nel territorio che prese il nome Surchio, i Seracco e quindi i Fiaschi nella vasta area sulle quale, in seguito, sorse l’omonima villa, ora Stampanoni. Il territorio dei Conti Fiaschi si estendeva fino all’argine maestro del Po, in confine alle Caselle. Queste famiglie nobili, marchesi e conti avevano il compito di “sfamare” le truppe stabili disposte nelle varie roccaforti, teste di ponte militari, messe a guardia per garantire la sicurezza del territorio transpadano, sempre desiderato dai veneziani. Il gravoso compito alimentare richiese perciò un cospicuo utilizzo di manodopera agricola( e fortunatamente la zona non mancava di lavoranti e braccianti), quindi il forte bisogno determinò un nuovo rifiorire dell’economia rurale, fino ad allora disastrata dai lunghi periodi bellici. Molte zone inselvatichite in seguito alle guerre ed alle inondazioni ad esse succedute furono bonificate e rese di nuovo fertili. Gli Estensi ricompensarono le famiglie investite decidendo la liberalizzazione dal vincolo del “dazio e gabella” nei commerci tra i vari feudi ferraresi.
Le caselle
Il primo nucleo di Gaiba è sorto attorno al Monastero di San Lorenzo: LE CASELLE.
Sono infatti i frati Benedettini che si incaricano della bonifica di queste terre, attorno al XI sec., mandati dalle Abbazie più grandi (come quelle di Pomposa e Nonantola) a ricavare fertilità e ricchezza dalla palude più profonda e povera. Le vestigia dell’antichissimo centro religioso restano ancora imponenti, pur nel loro impietoso degrado, addossate all’argine maestro nella località che detiene ancora il none di Caselle, ma che del centro abitato di allora non conserva più nulla.
E’ quindi evidente che il Monastero Benedettino di Caselle è stato fondato almeno un secolo prima della rotta di Ficarolo: fu eretto presumibilmente su un polesine di ampio raggio, controllava un territorio sicuramente vasto ed abbastanza alto rispetto alla palude circostante tanto da poter divenire un vero e proprio “quartier generale” della prima bonificazione che il territorio gaibese abbia mai conosciuto nella sua storia.
Nel 1151 avviene la rotta di Ficarolo: il nuovo corso si inserisce proprio nel mezzo dell’isola sulla quale stava il Monastero, e a tutt’oggi scorre a pochi metri dalle storiche mure del convento Benedettino (imbrigliato, però da un poderoso argine!). Si lasci al lettore immaginare gli anni seguenti la catastrofica rotta: più di due secoli di paziente e intenso lavoro di risanamento cancellati in un batter d’occhio e di nuovo tanta fatica da impiegare. Solo la grande perizia dei monaci Benedettini e la loro grande devozione religiosa riuscirono a mettere di nuovo in sesto la regione sconquassata dalla calamità dell’alluvione. I frati lavorarono queste terre ancora per qualche secolo, almeno fino al 1700, dopo aver subito numerose traversie e passaggi di mano. Infatti, i territori rivieraschi al Po furono sempre contesi tra Venezia e Ferrara, e il Monastero di San Lorenzo, alle Caselle passò sotto la Giurisdizione prima dell’Abbazia di Pomposa fino al 1476, poi passò ai Benedettini di Padova fino al 1778, per interessamento dei Duchi Ercole ed Eleonora d’Este. Il Grande umanista Guarino Guarini, nel descrivere il monastero di San Lorenzo, raccontò anche di un episodio, probabilmente più leggendario che veritiero, il quale volle ospite dei frati Benedettini di Caselle l’Imperatore Ottone II il sanguinario nell’anno 973, in uno dei suoi impegni di riconquista dell’Italia Meridionale all’epoca occupata dai bizantini. Già nel 1574 si legge, in un atto di descrizione dei fondi estensi, che la corte Benedettina versava in pessime condizioni per quanto riguardava la costruzione in muratura, e che anche il numero dei frati impiegati si era notevolmente ridotto. Dopo la restaurazione seguita alla rivoluzione francese e alle calate napoleoniche, scacciati gli ultimi frati, il possedimento fu messo all’asta e acquistato da privati, e oggi, ciò che ne resta, si mostra imponente fantasma del suo antico e perduto splendore.
All’interno del vasto fabbricato sono conservate preziosissime colonne di puro marmo di Carrara, ancora intatte dopo tanti secoli. L’attiguo oratorio di San Lorenzo era il luogo della comunicazione religiosa tra i frati e il popolo delle Caselle. Fu dedicato alla Madonna del Latte solo dal secolo scorso, in memoria di un miracolo che presumibilmente avvenne in soccorso di una madre che supplicò Maria di disporre di latte per il proprio figlio neonato morente. Una leggenda locale racconta di un misterioso tunnel sotterraneo che avrebbe collegato il Monastero di San Lorenzo al convento della Canova, in via Argine Valle e sarebbe stato utilizzato anche come luogo di sepoltura dei corpi dei frati defunti, un po’ alla stregua di catacomba.
Tommaselle
E fu così che terzo in ordine cronologico sorse il nucleo che fu chiamato Tommaselle, in onore di San Tommaso d’Aquino, al quale nel XVII sec. Fu dedicato l’Oratorio privato dei Marchesi Sarti. La chiesetta ancor oggi rappresenta il luogo di aggregazione della comunità gaibese ivi residente. Il borgo nasce sulle rive dello scolo Canalazzo, un antico ramo del Po che si staccava a Ficarolo e proseguiva verso nord-est. Naturalmente il villaggio è di almeno un secolo più antico rispetto all’Oratorio, e molto probabilmente le prime case di contadini furono erette nel 1500. I marchesi Sarti, dal XVI sec. Proprietari di molti territori della zona, fecero erigere un piccolo Oratorio privato dedicato a San Tommaso e alla Beata Vergine dell’Assunta. Nel 1734 l’Oratorio assunse addirittura il titolo di Curaria, cioè di piccola parrocchia dipendente dall’Arcipretale di Ficarolo, per interessamento della famiglia Barberini forse residente nel borgo. Tuttavia la Curaria di Tommaselle ebbe vita breve: infatti nel 1738 venne consacrato parrocchia l’Oratorio privato dei Marchesi Fiaschi, di nuova costruzione, situato in una zona più centrale: l’attuale Chiesa Arcipretale di San Giuseppe. L’Oratorio delle Tommaselle è ancora aperto al culto e vi si celebra a richiesta e a cadenza settimanale nel periodo estivo. Il campanile dell’Oratorio manca della punta nella guglia, forse in seguito ad un bombardamento nella I° guerra mondiale. Alcuni anziani del paese asseriscono invece, che le croce originale cadde insieme alla guglia a causa di un fulmine alla fine del 1800 durante uno spaventoso temporale. All’interno dell’Oratorio si conserva tutt’oggi un antico altare ligneo dorato e policromato della Scuola Ferrarese del 1500.
Villa Fiaschi e Cappella di Sant’Anna
Il nucleo centrale di Gaiba deve la propria origine all’arrivo dei Marchesi Fiaschi, che costruirono una possente villa sulle fondamenta della grande casa rurale dei predecessori marchesi Seracco. Questi ultimi ebbero territori in Gaiba per pochissimo tempo, ma sufficiente per lasciare il loro nome ad identificare “saracca” le terra che fu di loro proprietà, situata tra Via Giovecca e Via Vegri. Sullo scolo Canalazzo, tra Vegri e Tommaselle nel 1500 fu edificata la Villa rustica dei Seracco.
I Fiaschi al loro arrivo demolirono la villa e ne costruirono una nuova secondo canoni di architettura più “signorili”. Nel 1669, secondo una descrizione dell’epoca, la villa Fiaschi possiede già la fisionomia attuale, anche se mostra una decorazione frontale al centro della coperrtura che oggi non c’è più. Nel 1790 viene costruita la Cappella, in stile barocco dedicata a Sant’Anna, attuale patrona di Gaiba, l’Oratorio conserva una preziosa pala d’altare rappresentante la Santa bambina con la famiglia ed è opera di G. Cignaroli, pittore veronese morto nel 1770. Purtroppo da più di dieci anni la chiesetta, un gioiellino dell’arte barocca, è pericolante e necessita di ingenti quanto urgenti restauri. Le statue, che ornano ancora i pilastri della cinta, sono anteriori al 1790 e anch’essi abbisognano di restauro.
I Fiaschi si aprirono una strada verso il fiume costruendo la via che porta ancora il loro nome, per scopi agricoli continuarono a servirsi anche dell’antichissima strada che conduce al Monastero delle Caselle. Via San Lorenzo e via Fiaschi (oggi il primo tratto di quest’ultima si chiama via Roma) cominciavano in un’unica strada che partiva in corrispondenza del cancello centrale della mura attorno alla villa poi superava il ponticello sullo scolo Canalazzo e subito si divideva a V: un braccio si dirigeva perpendicolarmente alla Villa verso il Po, l’altro portava alle Caselle. Sopra queste due strade si espanderà Gaiba moderna: la piazza centrale con la chiesa di San Giuseppe si aprirà mettendo in comunicazione le due vie, dallo slargo della piazza in direzione ovest nascerà via Sabbioni da dove via Fiaschi verso via Vegri si diramerà via Giovecca.
San Giuseppe
CHIESA ARCIPRETALE DI SAN GIUSEPPE
I Marchesi Fiaschi fecero erigere due Oratori in Gaiba: uno all’interno delle mura della propria villa nel 1700, un altro più antico su via San Lorenzo, a distanza di circa 300 m. dalle mura. Questo costruito nel 1500, evidentemente per la cura delle anime dei contadini al loro servizio, fu eretto orientato verso ovest, sulla via che portava al Monastero di San Lorenzo. Il piazzale di fronte all’Oratorio era delimitato dalla via che conduceva al Po. La storia dell’Oratorio che diventerà poi la chiesa Arcipretale, può essere ricostruita, curiosamente, attraverso la lettura dei resoconti di viaggio dei vari prelati in visita religiosa.
L’Oratorio fu visitato dal Vicario Maremonti il 6 luglio 1574 e nella sua relazione si legge di una chiesa povera e malridotta che necessita di candelieri nuovi, priva addirittura di regolare altare, dotata di una piccola campana a corda esterna(quindi non c’era campanile), senza vetrate e dal pavimento sconnesso. E’ gestita dal cappellano francescano Domenico Cardinale dipendente dell’Arcipretale di Ficarolo. Il 9 settembre 1651 l’Oratorio dei Fiaschi è visitato dal Monsignore G. Fontana, il quale ne ricava una descrizione leggermente migliore rispetto alla precedente: intitolato all’Ephiphaniae ha pareti dipinte, un porticato in facciata, ma la campana è ancora esterna e gli arredi sacri sono ancora ridotti a poco più dell’essenziale. Il cappellano don Andrea vive di una rendita di 20 scudi annui ricavata dall’affitto di territori donati da Galeazzo Fiaschi. Don Andrea celebra regolarmente nei giorni festivi. E’ solo nel 1699, con la visita di Monsignore Paolucci, che l’Oratorio si mostra del tutto rinnovato: dedicato a San Giuseppe Sposo di Maria, possiede una sagrestia e tre altari. Nel 1713, appena 14 anni dopo l’ultima ispezione, Monsignore Togni visita un grande e nuovo Oratorio, “recenter erectum a fundamentis”, ovverosia recentemente eretto dalle fondamenta( quindi il precedente fu completamente demolito). Questo ha: una sagrestia, un coro, un battistero e tre altari non ancora completati. Monsignore Ruffo nel 1727 visita ancora la Chiesa di San Giuseppe e aggiunge alla descrizione precedente che gli altari sono stati rifiniti e che vi si trova anche una nuova cappella (alla quale si accede dall’abside) e il cimitero al lato nord. Il decreto ufficiale che crea la nuova parrocchia è firmato il 10 novembre 1734 dal Cardinale T. Ruffo, il quale con la bolla del 20 successivo delinea i confini gaibesi con territori sottratti a Ravalle, Stienta e Ficarolo: è nata Gaiba. Il compleanno del nostro comune deve essere fatto risalire proprio alla data del 20 novembre 1734. All’interno della Chiesa si conservano tutt’oggi in ottimo stato, un coro ligneo e un confessionale con pulpito (opere di Dalbuoni, artigiano locale).
I Marchesi Fiaschi, in oltre duecento anni di dominio su Gaiba, hanno donato, a partire dal 1574 e successive elargizioni quella chiesa che riunirà tutti i borghi storici nati prima del nucleo centrale, e facendo della piazza del paese praticamente l’ultimo nato tra gli insediamenti del comune. Ricapitolando: Gaiba ha costruito il proprio centro per unificare in un’unica identità comunale tutti i villaggi ad esso preesistenti, al contrario di quanto invece è successo nella stragrande maggioranza dei paesi polesani, che si sono sviluppati dal centro alla periferia.
PIAZZA SAN GIUSEPPE
Le case erette attorno alla piazza dell’Oratorio Fiaschi hanno, presumibilmente, un origine nel XVII sec., e si presentavano, allora con una fisionomia del tutto diversa da quella attuale. Erano infatti porticate in facciata e riprendevano architettonicamente la piazza di Ficarolo, che rimane ancor oggi per un intero lato munita di portici con archi a tutto sesto. Nella piazza gaibese rimangono ancora a testimoniare l’antica bellezza del centro i quattro volti che costituiscono la superstite facciata di una antica casa, addossata alla Canonica.
Due grassissime finestre in stile veneziano restano unica memoria di una presunta sequenza di stile nei tre lati della piazza. All’interno di alcune case sul lato sud rimangono testimonianza degli antichi archi nella muratura. I volti della piazza di Gaiba sono rimasti integri fino all’inizio del 1900, poi furono inglobati nei muri esterni delle case per far guadagnare altro spazio all’abitazione.
Gaiba continua a crescere sia dal punto di vista demografico sai dall’edilizio, allargandosi in direzione sud-ovest con le vie Giovecca e Sabbioni. Nel frattempo scompariva l’abitato delle Caselle e il Monastero venne abbandonato dagli ultimi frati all’inizio del 1800.
Scavi archeologici in Chiunsano
Chiunsano era già stato oggetto di ricerche agli inizi del secolo, quando nel 1904 vi furono eseguiti alcuni scavi che portarono alla luce resti di costruzioni, frammenti di vasi fittili e vetro, oggetti di bronzo e osso, oltre che numerose monete (da Vespasiano a Galerio Massimiano). Ma si deve giungere al 1968 per avere altre informazioni archeologiche, con la scoperta occasionale in località Bassantina (Ficarolo) di tre tombe a cremazione del tipo “a cassetta”, riferibili al I secolo d.C.. Il loro corredo funebre era rappresentato da vasellame di vetro e terracotta, tra cui un elegante bicchiere fittile invetriato. Il luogo di Chiunsano ritornò nel 1982 ad essere interessato da scavi archeologici, quando per interventi agricoli furono individuate le prime tracce di una necropoli. Le ricerche portarono alla scoperta di trentuno tombe ad inumazione di epoca altomedievale, distribuite nel contesto di un’area insediativa romana. Ora si prospetta la necessità di una programmata ricerca, soprattutto alla luce di quanto Carlo Palazzi è riuscito ad individuare in anni di continue ricognizioni, senza trascurare il fatto che la maggior concentrazione dei siti archeologici è distribuita lungo una secondaria via d’acqua ancora parzialmente “viva” che in cartografie storiche è ricordata con il nome di Chiunsano, dalla stessa località che fino ad oggi ha restituito, per l’area in esame, i materiali archeologici più significativi. E non deve essere sottovalutato il fatto che questa fascia rivierasca del Po, per quanto legata a complesse vicende idrografiche, offre elementi tali da confermare una particolare continuità insediativa che abbraccia un arco di tempo compreso tra il II secolo a.C. e il VI secolo d.C.
LA DAMA DI CHIUSANO
Assolutamente sensazionale è risultato il ritrovamento di quel 2 settembre 1991, penultimo giorno della terza campagna di scavi condotta da Hermann Bùsing, dell’Università di Bochum, nel territorio rivierasco del Po tra Gaiba e Ficarolo, in provincia di Rovigo. Deposto sulla massicciata romana stava lo scheletro intatto di una donna risalente all’epoca delle invasioni barbariche e databile intorno al 500 d.c., con ricchi gioielli d’argento, anche dorato.
Alla mano sinistra portava un anello con granati almandini, all’avambraccio sinistro un’armilla d’argento e tra i capelli un lungo spillone. Non sono stati trovati nella loro posizione originale gli ornamenti della veste, cioè la bella fibbia da cintura e la fibula: la prima, decorata da nove granati almandini e dorata, stava presso il ginocchio sinistro, la seconda tra i piedi. Questo fa pensare ad una parziale spoliazione della salma poco tempo dopo la sepoltura.
La “dama di Chiunsano” era un’ostrogota, i cui gioielli furono in parte apprestati ancor prima della sua migrazione verso l’Italia. Del popolo di Teodorico il Grande, che arrivò in Italia con centomila uomini nell’anno 489, sono state finora rinvenute meno di cinquanta sepolture femminili (gli uomini venivano invece deposti senza corredo e sono riconoscibili come ostrogoti solo per la vicinanza con tombe femminili, oppure per mezzo di analisi antropologiche). Quindi non è solo l’eccezionale eleganza dei gioielli, ma anche e soprattutto la grande rarità di ritrovamenti simili che conferiscono alla sepoltura un posto di rango nella storia del Polesine. Si tratta infatti della prima tomba barbarica di questa provincia. Nulla, prima dello scavo, faceva presumere un rinvenimento così clamoroso, del tutto inaspettato per gli scavatori stessi, anche se si deve osservare che il sepolcreto di Chiesazza, distante poche centinaia di metri, appartiene alla stessa epoca della “dama di Chiunsano”. Se si trattasse di uomini della medesima stirpe oppure di autoctoni lo potranno dire solo ricerche antropologiche. Nel frattempo è emerso che un impugnatura di coltello, di osso intagliato, con l’iscrizione “VIVAS IN D[EO]” rinvenuta anni fa su un campo di Chiunsano, appartiene al medesimo contesto storico.